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Il nuovo patto sulla migrazione e l’asilo. I prossimi passi

Nel corso della penultima sessione plenaria prima della fine dell’attuale mandato, il 10 aprile 2024 il Parlamento europeo ha approvato i diversi atti che compongono il nuovo Patto sulla migrazione e l’asilo (qui il nostro commento). Il pacchetto approvato comprende dieci fascicoli legislativi.

Si tratta dei nuovi regolamenti

  • sulle qualifiche e le procedure per il riconoscimento della protezione internazionale
  • sulle condizioni di accoglienza e di riforma dell’Eurodac,
  • e di quelli istitutivi di una procedura di rimpatrio alla frontiera
  • di un sistema centralizzato per individuare gli Stati membri in possesso di informazioni sulle condanne pronunciate a carico di cittadini di paesi terzi e apolidi
  • di un quadro di reinsediamento europeo e sugli accertamenti nei confronti dei cittadini di paesi terzi alle frontiere esterne.

A questi si aggiungono

  • il nuovo regolamento sulla gestione dell’immigrazione e l’asilo (che sostituirà l’attuale “regolamento Dublino”) e
  • il regolamento sulla gestione delle situazioni di crisi e di emergenza (che nella versione finale include anche le c.d. situazioni di strumentalizzazione dei migranti).

Si tratta di una riforma corposa e sostanziale dell’attuale sistema di asilo europeo.

L’attuale processo di ripartizione delle responsabilità tra Stati membri che, come nel sistema Dublino oggi in vigore, rimane incentrato su criteri oggettivi, pur se con qualche limitatissima aggiunta, non viene intaccato ed anzi è esteso a 20 mesi il termine ordinario per la cessazione della responsabilità del paese di primo ingresso (12 mesi solo nel caso di sbarco a seguito di un’operazione di ricerca e soccorso) e si prevede la semplice notifica al paese ritenuto competente nel caso di richiesta di ripresa in carico (laddove risulti già presentata una domanda in quello Stato membro).

Si introduce, però, un meccanismo di solidarietà obbligatoria, ma libero quanto alla scelta del tipo di intervento, ed attuabile solo in presenza di situazioni di pressione migratoria (in caso di arrivi via terra, aria o mare o di richieste di cittadini di paesi terzi o apolidi tale da dare luogo a obblighi sproporzionati per uno Stato membro) o addirittura ritenute critiche o ascrivibili a situazioni di forza maggiore.

Ogni anno verrà costituita una “riserva di solidarietà”, alla quale tutti i Paesi dell’UE dovranno contribuire con ricollocamenti (ovvero trasferimenti di un richiedente o beneficiario di protezione internazionale dal territorio di uno Stato membro beneficiario al territorio di uno Stato contribuente), contributi finanziari, ma eventualmente anche misure di solidarietà alternative, incentrate sul sostegno operativo, sullo sviluppo di capacità, sui servizi, sul sostegno al personale, sulle strutture e sulle attrezzature tecniche.

Il calcolo del contributo di ciascuno Stato membro si baserà sulla dimensione della popolazione (50%) e sul suo PIL (50%). Il nuovo regolamento fissa la soglia minima per le ricollocazioni a 30.000 richiedenti e il contributo finanziario a 600 milioni di euro. Gli Stati membri dichiarati sotto pressione migratoria notificheranno al Consiglio e alla Commissione la loro intenzione di utilizzare la riserva e potranno richiedere una detrazione parziale o totale dei propri contributi di solidarietà.

Gli strumenti definiscono la cornice, rinviando alla successiva adozione di atti di esecuzione. Nuovi e numerosi compiti spetteranno alla Commissione. Anzitutto, subito dopo l’entrata in vigore del nuovo regolamento sulla gestione della migrazione (entro massimo tre mesi), in stretta collaborazione con le agenzie competenti dell’Unione e gli Stati membri,

  • dovrà predisporre un piano di attuazione comune per garantire che gli Stati membri siano adeguatamente preparati ad attuare il regolamento, valutando le lacune e le fasi operative necessarie.
  • Poi entro 18 mesi dall’entrata in vigore, dovrà definire una strategia europea quinquennale per la gestione dell’asilo e della migrazione e annualmente adotterà una relazione, per valutare la situazione in materia di asilo, accoglienza e migrazione nei 12 mesi precedenti e gli eventuali sviluppi, fornendo un quadro strategico che funga anche da strumento di allarme rapido e di sensibilizzazione per l’Unione
  • è stato inoltre concordato che ogni tre anni la Commissione presenterà una revisione delle soglie di solidarietà, della definizione di familiari, della durata dei termini e del funzionamento complessivo del meccanismo di responsabilità.

Ma sarà anche cruciale il ruolo degli Stati membri, cui spetta di dare attuazione con atto del Consiglio alle proposte della Commissione (anche per l’istituzione della riserva annuale di solidarietà). Pertanto, nell’esplicazione concreta, i nuovi meccanismi di solidarietà saranno sempre soggetti alla necessità di raggiungere un compromesso politico tra posizioni divergenti. Al fine di garantire l’efficace attuazione del meccanismo di solidarietà, è istituito un forum dell’UE di alto livello sulla solidarietà, composto dai rappresentanti degli Stati membri e presieduto dallo Stato membro che esercita la presidenza del Consiglio, in cui relazioni e preposte della Commissione saranno esaminati e discussi.

Proprio in considerazione dei nuovi compiti attribuiti alla Commissione, della necessità di attuare una cooperazione più strutturata tra istituzioni europee e Stati membri e di adottare atti di esecuzione per l’attuazione effettiva del Patto, la presidenza belga ha convocato una conferenza ministeriale il 29-30 aprile a Ghent che ha riunito la Commissione europea, i ministri degli interni e della migrazione degli Stati membri dell’UE e dei paesi associati a Schengen e i rappresentanti delle agenzie competenti. L’obiettivo della conferenza è la definizione degli elementi costitutivi di ciò che dovrebbe essere messo in atto comunemente, delle risorse che saranno necessarie, dei ruoli e delle responsabilità di tutti gli attori.

Nel complesso, il nuovo sistema sotteso al Patto mira a prevenire l’ingresso sul territorio dell’UE, rafforzando il ricorso alle c.d. procedure di frontiera e accelerate, finalizzate a valutare l’eventuale infondatezza o inammissibilità delle domande di asilo (durante lo svolgimento di queste procedure le persone non sono autorizzate ad entrare nello Stato membro, pur trovandosi sul territorio, e confermando il mantenimento della “finzione di non ingresso”, ritenuta elemento essenziale dal Consiglio).

Dopo aver superato una procedura di screening iniziale, volta all’identificazione, ad effettuare controlli sanitari e di sicurezza, nonché al rilevamento delle impronte digitali e alla registrazione nella banca dati Eurodac, che dovrebbe durare al massimo 7 giorni, le persone (fermate in caso di attraversamento non autorizzato della frontiera esterna per via terrestre, marittima o aerea, sbarcate a seguito di un’operazione di ricerca e soccorso in mare, che abbiano presentato domanda di protezione internazionale presso i valichi di frontiera esterni o nelle zone di transito senza soddisfare le condizioni d’ingresso) saranno infatti indirizzate verso la procedura ritenuta appropriata (rimpatrio o protezione internazionale), eventualmente tramite una procedura di frontiera o accelerata, di cui si accresce l’utilizzo.

La riforma, che le istituzioni europee in una dichiarazione congiunta hanno definito storica ritenendo che fornisca all’UE una solida base giuridica per gestire la migrazione in modo completo e integrato, ma che ha suscitato dure prese di posizione da parte di numerose associazioni della società civile, preoccupate per il rischio di compressione dei diritti fondamentali, tanto da rivolgere un appello ai Parlamentari europei perché si esprimessero in senso contrario, necessita ora dell’approvazione formale del Consiglio per la sua adozione finale.

Gli Stati membri avranno, poi, 24 mesi per conformarsi alle nuove norme dopo l’entrata in vigore dei relativi atti legislativi.

Ma, l’efficacia del nuovo quadro giuridico dipenderà dalla sua attuazione concreta e ciò richiederà

  • l’adozione e l’applicazione di adeguamenti normativi a livello nazionale
  • lo sviluppo o il potenziamento di attrezzature e infrastrutture
  • l’implementazione di nuovi sistemi, processi e procedure e di attrezzature e infrastrutture
  • un coordinamento rafforzato a livello nazionale e UE e un maggiore sostegno operativo e finanziario.

Come ha ben messo in luce la presidenza belga, garantire la transizione al nuovo quadro normativo sarà una priorità comune fondamentale nei prossimi due anni.

La Conferenza interministeriale del 29-30 aprile costituisce l’avvio di un processo, che inizierà formalmente già prima della prossima estate, subito dopo le elezioni europee e probabilmente in concomitanza con la designazione della nuova presidenza della Commissione europea.

Alessia Di Pascale, Collaborazione scientifica settore Europa e Paesi terzi e Settore Legislazione Professore associato di diritto dell’Unione europea, Università degli Studi di Milano

2 maggio 2024