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La chiusura dei porti italiani alle Ong

COVID-19  2019-nCoV concept. Human hands holding various smart devices with coronavirus alerts on their screens. flat vector illustration

                                                               Il Coronavirus ha reso l’Italia un luogo non sicuro per i migranti?

 

Con un decreto interministeriale del 7 aprile 2020 i porti italiani sono stati dichiarati privi del requisito di sicurezza, chiamato POS “Place Of Safety”, per lo sbarco dei migranti soccorsi in mare dalle ONG. Il motivo è l’emergenza sanitaria da COVID-19. Nel decreto infatti si sostiene che l’attuale situazione di pressione a cui sono sottoposti il sistema sanitario nazionale e i servizi regionali non permette di “assicurare sul territorio italiano la disponibilità di tali luoghi sicuri”, senza compromettere “la funzionalità delle strutture nazionali sanitarie, logistiche e di sicurezza” destinate al trattamento dei pazienti con il virus COVID-19.

Più in particolare, nel primo dei due articoli del decreto si stabilisce che “per l’intero periodo di durata dell’emergenza sanitaria nazionale derivante dalla diffusione del virus COVID-19 i porti italiani non assicurano i requisiti necessari per la classificazione e definizione di Place of Safety (“luogo sicuro”) per “i casi di soccorso effettuati da parte di unità navali battenti bandiera straniera al di fuori dell’area SAR italiana”. In altre parole, i porti italiani sono chiusi per le navi straniere che soccorrono i migranti vicino alle coste libiche e nella zona SAR di Malta, mentre rimangono aperti per le navi italiane che soccorrono i migranti a pochi chilometri di distanza, nell’area italiana.

Nel retroscena del decreto possiamo trovare uno specifico episodio: il soccorso svolto dalla nave Alan Kurdi, gestita dalla ONG tedesca Sea Watch, col salvataggio di circa 150 migranti davanti alle coste libiche che dopo dodici giorni di blocco sono stati fatti sbarcare in Italia e sottoposti a tampone. Attualmente tale nave è l’unica attiva nel Mediterraneo centrale nella ricerca e soccorso dei migranti.

Le ONG Mediterranea, Sea-Watch, Open Arms e Medici Senza Frontiere, nonché una parte dell’opinione pubblica e altre organizzazioni umanitarie, hanno espresso preoccupazione per la decisione del governo italiano di far riferimento alla situazione di emergenza sanitaria per chiudere i propri porti alle persone salvate dalle ONG in acque libiche. In effetti, ci si può chiedere perché l’emergenza sanitaria dovrebbe avere un peso diverso a seconda del luogo di soccorso e della natura del soccorritore, tutti fattori che non sembrano legarsi direttamente alla capacità o meno dell’Italia di essere per i naufraghi un luogo sicuro. Da una diverso punto di vista va poi osservato che il “place of safety” è quello che garantisce la sicurezza fisica della persona, compresa quella sanitaria, nonché la tutela dei diritti fondamentali e in particolare del diritto d’asilo e allora ci si può chiedere se nell’attuale contesto vi siano in prossimità delle acque del Mediterraneo centrale luoghi più vicini a tale definizione dell’Italia, malgrado l’emergenza, sicché la chiusura dei porti può apparire come una misura che consegna i naufraghi a un destino comunque peggiore di quello che si avrebbe con lo sbarco nel nostra Paese contro quella che è la logica del diritto internazionale.

Nel frattempo, continuano gli sbarchi autonomi di piccole imbarcazioni che lanciano SOS sulla piattaforma Alarm Phone. Secondo il cruscotto statistico del Ministero dell’Interno, sono 2.794 le persone sono arrivate sulle coste italiane dal primo gennaio al 30 marzo; ad esse è stata comunque garantita la possibilità di richiedere asilo in Italia nel rispetto degli obblighi nazionali ed internazionali.

Nonostante le sfide senza precedenti che affrontano i paesi europei a causa del COVID-19, è assolutamente necessario portare avanti i salvataggi in mare e consentire ai superstiti di sbarcare in porti sicuri, ha dichiarato il 16 aprile Dunja Mijatović, Commissaria per i diritti umani del Consiglio d’Europa. La Commissaria ha chiesto agli Stati membri del Consiglio d’Europa di rispondere quanto prima alle richieste di soccorso in mare, garantire la capacità di salvataggio necessaria e cooperare in modo efficace per individuare un luogo di sbarco sicuro per i superstiti, prendendo ogni misura necessaria per proteggere la salute di tutte le persone coinvolte.

 

di Sara Morlotti, ricercatrice Settore Legislazione Fondazione ISMU