Sono state in totale 5.011 le persone evacuate dal territorio afghano, di cui 4.890 cittadini afghani, tra di loro 1.301 donne e 1.453 bambini (dati del Ministero della Difesa al 27 agosto 2021). L’operazione, denominata “Aquila Omnia”, iniziata con il primo volo militare da Kabul il 18 agosto, è finita il 28 agosto, per un totale di dieci giorni di ponte aereo. In previsione del ritiro definitivo delle truppe alleate dall’Afghanistan, il Ministero della Difesa italiano si è infatti attivato per individuare una procedura finalizzata a concedere la Protezione Internazionale ai cittadini di nazionalità afghana che hanno svolto, a favore dei contingenti militari italiani, prestazioni con carattere di continuità nell’ambito delle missioni internazionali, che rimanendo sul territorio, sarebbero esposti al pericolo di ritorsioni e persecuzioni da parte del nuovo governo a guida talebana. I collaboratori afghani e le loro famiglie saranno collocati nel Sistema di Accoglienza e Integrazione (SAI), accedendo così alle procedure ordinarie di riconoscimento della Protezione Internazionale e alle misure di accoglienza ad esse collegate.
Ciò che salta all’occhio è la diversità e assoluta novità di tale meccanismo rispetto a quello dei corridoi umanitari, da una parte, e quello del “re-settlement” governato dall’Alto Commissariato per i Rifugiati ONU, dall’altra. Per quanto riguarda i primi, essi sono frutto di un Protocollo d’intesa tra la Comunità di Sant’Egidio, la Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia, la Tavola Valdese, la Cei-Caritas e il governo italiano. Tali corridoi non pesano affatto sulle casse dello Stato, essendo interamente finanziati dalle stesse associazioni che inviano sul posto i loro volontari al fine di prendere contatti con i rifugiati, predisporre le liste di potenziali beneficiari da trasmettere alle autorità consolari italiane per il loro controllo e per il rilascio dei visti territoriali. Siffatti corridoi sono regolati da un Protocollo d’intesa sottoscritto il 15 dicembre 2015 dagli enti promotori e dai Ministeri degli Esteri e dell’Interno, principalmente con il fine di accogliere i profughi siriani fuggiti dal Libano. Base giuridica di questa iniziativa è l’art. 25 del Regolamento CE 810/2009, il quale permette il rilascio di visti umanitari validi per il territorio dei singoli Paesi facenti parte dell’area Schengen. I numeri delle persone che hanno acceduto negli anni ai corridoi umanitari italiani non superano le poche migliaia.
Riguardo invece al meccanismo del cosiddetto “reinsediamento”, esso è il trasferimento di persone da un primo Paese di asilo temporaneo e di transito a uno Stato terzo, che ha accettato di accoglierli e di concedere loro la residenza permanente con lo status di rifugiato. Il resettlement, gestito dall’UNHCR con programmi internazionali di concerto con i governi nazionali che decidono quante e quali persone accogliere, permette di mettere in salvo centinaia di persone bloccate nei campi profughi da dove non avrebbero altrimenti via d’uscita, spesso costrette a trascorrere mesi o anni in condizioni umanitarie gravissime. In Italia, dal 2003, sono state reinsediate 2.900 persone tramite questo canale. Pochissime, rispetto a quelle che ogni anno giungono nel nostro Paese chiedendo asilo: nel 2020 – secondo i dati UNHCR disponibili sul Resettlement Data Finder – sono state solo 21 le persone reinsediate.
I vantaggi dei meccanismi descritti sono evidenti e innegabili: l’evitare i viaggi della morte e le conseguenti tragedie nel Mediterraneo o sulla rotta balcanica, il contrasto al business dei trafficanti di esseri umani e delle organizzazioni criminali, la concessione a persone vulnerabili di un ingresso legale sul territorio. Il Paese di ingresso può selezionare gli accessi attraverso controlli effettuati dalle autorità preposte alla concessione dei visti. Una possibilità quest’ultima che, al di là degli evidenti vantaggi per il Paese che accoglie, rischia di avvantaggiare solo un gruppo di persone ritenute “più meritevoli” sulla base di criteri di selezione non del tutto trasparenti.
Sebbene a prima vista il ponte aereo tra Kabul e Roma abbia gli stessi vantaggi e meccanismi simili, vi sono, come già accennato, alcune differenze sostanziali. Mentre i corridoi umanitari provengono da una collaborazione volontaria fra enti religiosi e il reinsediamento si è rivelato essere un meccanismo UNHCR poco incisivo per l’Italia, l’operazione attuale del Ministero della Difesa è di tutt’altra natura. In primo luogo, il totale controllo e governo dell’operazione da parte dello Stato, più specificamente del Ministero della Difesa, il quale si è fatto promotore e ha gestito interamente la procedura. Il trasferimento delle quasi 5mila persone è stato preso in carico interamente dallo Stato, essendo peraltro finanziato attingendo alle risorse militari di cui il Paese dispone (gli aerei utilizzati, in questo caso, sono stati otto, 3 KC-767 che si sono alternati tra l’area di operazione e l’Italia e 5 C130-J, questi ultimi dislocati in Kuwait). Un’operazione, dunque, totalmente gestita prescindendo da organizzazioni umanitarie o ONG, alle quali negli ultimi decenni è stato affidato interamente – e loro malgrado – il ruolo di governo dei movimenti migratori in arrivo in Europa. In effetti, trattandosi di una operazione prettamente militare, la differenza è notevole: mai è stato tratto in salvo un numero tale di rifugiati da un Paese in guerra in così pochi giorni. Da questo punto di vista, si tratta indubbiamente di una operazione ben riuscita ed encomiabile da parte delle istituzioni italiane, paragonabile solo all’esperienza europea di Frontex di salvataggio nel Mediterraneo. Il dato interessante è proprio questo: troppo spesso è considerata difficile o impossibile la gestione all’estero dei flussi migratori attraverso un primo esame dei casi e il rilascio, sotto determinate condizioni, dei visti. La vicenda di Kabul dimostra proprio il contrario: i nostri apparti militari e diplomatici, così come quelli degli altri Paesi alleati, sono perfettamente in grado di affrontare crisi umanitarie in terre straniere e sanno anzi essere incisivi e di grandissimo aiuto per le popolazioni in difficoltà.